Per un Museo “Vivo” del pianoforte
ottocentesco.
“Note Romantiche”
L’idea nasce dal felice connubio tra il mio lavoro, restauratore di mobili, e la mia passione, il pianoforte.
Qualche anno fa’ ho acquistato a Francoforte un pianoforte a tavolo “J.&P. Schiedmayer” del 1860, che mi aveva attratto per l’insolita e affascinante forma,e che, dopo averlo restaurato, adoperavo per mio diletto. Ma la vera scintilla è scoccata con il restauro di un pianoforte a coda Pleyel del 1875, appartenuto a Paolo Buzzi, amico di Marinetti, presso la Civica Biblioteca di Palazzo Sormani a Milano, in occasione del centenario del movimento futurista.
E’ stato veramente entusiasmante vedere come quel “vecchio” pianoforte, relegato in un angolo del pianerottolo delle scale, sia tornato a splendere nella Sala del Grechetto e a cantare sotto le abili dita del M° Bruno Canino: incredibile anche vedere come una visita che è stata organizzata al cantiere di restauro abbia attirato per interesse o per curiosità, più di duecento persone in un anonimo sabato pomeriggio milanese di febbraio.
Da lì ho cominciato le mie acquisizioni: un Pleyel a coda del 1894 vicino a Ginevra, un Pleyel a coda del 1856 a Padova, un interessantissimo gruppo di 5 pianoforti da un collezionista vicino a Parigi, e poi Orleans, Besançon, Lione, Bordeaux, Caen, Calais, Toulouse, Brest, Versailles, Marsiglia, Cannes, Isére Pazy e vari paesini sperduti nella campagna francese.
Durante il lavoro di restauro è nato un vero e proprio legame con ogni singolo strumento, tale da impedirmi di venderli a chi saprebbe apprezzarli solo come mobili!
E’ da qui che nasce l’idea: rendere partecipi più persone possibile a questi suoni, che poi altro non sono che i suoni sui quali è nata la maggior parte del repertorio “classico” per pianoforte conosciuto dal grande pubblico.
A oggi possiedo pianoforti (15) dal 1817 al 1894, a coda, verticali, a tavolo e a consolle, la maggior parte dei quali concentrati tra il 1840 e il 1868, la maggior parte francesi.
Teniamo presente che le più blasonate (oggi) case tedesche, Steinway e Bechstein nascono rispettivamente nel 1856 e nel 1859, mentre Bösendorfer, pur essendo stata fondata nel 1828, rimane legata a metodi costruttivi (meccanica) viennesi fino agli anni ’80 dell’800.
Di contro abbiamo Broadwood in Inghilterra dal 1773, Erard in Francia dal 1780, Pleyel in Francia dal 1807, Pape nel 1815, Boisselot nel 1830, ecc. ecc..
I brevetti decisivi sono indubbiamente francesi: Sebastien Erard brevetta il doppio scappamento nel 1821, Jean Henri Pape brevetta il feltro sui martelli nel 1826 e le corde incrociate nel 1838, Boisselot brevetta il pedale tonale nel 1844, ecc. ecc..
Quindi sono proprio i pianoforti francesi a farla da padrone nella prima metà dell’800, avendo scalzato il monopolio fino a quel momento in mano a Broadwood.
Solo come indicazione suonavano un Erard Haydn, Beethoven, Debussy e Ravel, Moscheles suonava su Pape, mentre rimane storico l’indissolubile binomio Chopin- Pleyel. Liszt ha suonato di tutto: da Erard a Steinway, passando da Boisselot, da Bechstein e da Bosendorfer. Tuttavia, nei suoi scritti dichiara una predilezione, che durerà tutta la vita, per i pianoforti di Boisselot.
Da qui il mio interesse privilegiato verso i pianoforti francesi della metà dell’800.
Allo stato attuale sono restaurati e funzionanti 8 pianoforti:
Tre di questi ( due Pleyel e un Erard) sono stati utilizzati dal Giancarlo Chiesa nel concerto, concepito come percorso storico in occasione del bicentenario della nascita di Chopin, che si è tenuto il 18 Dicembre 2010 nella Chiesa di Madonna di Campagna a Verbania .
Il Museo “Vivo”
L’idea è quella di raggruppare questa “collezione” in un luogo idoneo (allo stato attuale sono sparpagliati), facilmente fruibile, dove i musicisti li possano conoscere e adoperare, dove gli appassionati di musica possano ascoltarli, dove coloro che pur “non intendendosene” amano le cose belle e fatte con maestria possano quantomeno ammirarli.
Una collezione che è in continuo divenire, grazie al mio lavoro di restauro dei pezzi già acquisiti e grazie a nuove e continue acquisizioni.
Questi pianoforti, visti sotto una giusta ottica, aprono certamente squarci importanti su quel periodo di fervente evoluzione tecnica e stilistica che ci consegnerà, nell’ultimo decennio dell’800 il pianoforte come noi lo conosciamo oggi.
Tutto ciò richiede appunto un luogo idoneo: l’ideale sarebbe una disposizione su varie stanze (a tema) “confluenti” (adiacenti) in un locale sufficientemente ampio per poter ospitare dei concerti.
Annesso a questa disposizione sarebbe opportuno un locale dove poter “stoccare” (in sicurezza) le nuove acquisizioni necessitanti di “cure”, e un locale da adibire a “laboratorio aperto”dove si possa far capire ai visitatori cosa significa restaurare un pianoforte ottocentesco e dove poter apprezzare il “divenire” del restauro: sarebbe un’operazione didatticamente molto interessante, forse anche in grado di suscitare passioni “artigiane” nei più giovani.
Penso proprio che sarebbe un bel modo per avvicinare molti alla storia del pianoforte “fruibile”, in grado di suscitare passioni per la musica e per la “creatività” artigianale del restauro.
“Note Romantiche”
L’idea nasce dal felice connubio tra il mio lavoro, restauratore di mobili, e la mia passione, il pianoforte.
Qualche anno fa’ ho acquistato a Francoforte un pianoforte a tavolo “J.&P. Schiedmayer” del 1860, che mi aveva attratto per l’insolita e affascinante forma,e che, dopo averlo restaurato, adoperavo per mio diletto. Ma la vera scintilla è scoccata con il restauro di un pianoforte a coda Pleyel del 1875, appartenuto a Paolo Buzzi, amico di Marinetti, presso la Civica Biblioteca di Palazzo Sormani a Milano, in occasione del centenario del movimento futurista.
E’ stato veramente entusiasmante vedere come quel “vecchio” pianoforte, relegato in un angolo del pianerottolo delle scale, sia tornato a splendere nella Sala del Grechetto e a cantare sotto le abili dita del M° Bruno Canino: incredibile anche vedere come una visita che è stata organizzata al cantiere di restauro abbia attirato per interesse o per curiosità, più di duecento persone in un anonimo sabato pomeriggio milanese di febbraio.
Da lì ho cominciato le mie acquisizioni: un Pleyel a coda del 1894 vicino a Ginevra, un Pleyel a coda del 1856 a Padova, un interessantissimo gruppo di 5 pianoforti da un collezionista vicino a Parigi, e poi Orleans, Besançon, Lione, Bordeaux, Caen, Calais, Toulouse, Brest, Versailles, Marsiglia, Cannes, Isére Pazy e vari paesini sperduti nella campagna francese.
Durante il lavoro di restauro è nato un vero e proprio legame con ogni singolo strumento, tale da impedirmi di venderli a chi saprebbe apprezzarli solo come mobili!
E’ da qui che nasce l’idea: rendere partecipi più persone possibile a questi suoni, che poi altro non sono che i suoni sui quali è nata la maggior parte del repertorio “classico” per pianoforte conosciuto dal grande pubblico.
A oggi possiedo pianoforti (15) dal 1817 al 1894, a coda, verticali, a tavolo e a consolle, la maggior parte dei quali concentrati tra il 1840 e il 1868, la maggior parte francesi.
Teniamo presente che le più blasonate (oggi) case tedesche, Steinway e Bechstein nascono rispettivamente nel 1856 e nel 1859, mentre Bösendorfer, pur essendo stata fondata nel 1828, rimane legata a metodi costruttivi (meccanica) viennesi fino agli anni ’80 dell’800.
Di contro abbiamo Broadwood in Inghilterra dal 1773, Erard in Francia dal 1780, Pleyel in Francia dal 1807, Pape nel 1815, Boisselot nel 1830, ecc. ecc..
I brevetti decisivi sono indubbiamente francesi: Sebastien Erard brevetta il doppio scappamento nel 1821, Jean Henri Pape brevetta il feltro sui martelli nel 1826 e le corde incrociate nel 1838, Boisselot brevetta il pedale tonale nel 1844, ecc. ecc..
Quindi sono proprio i pianoforti francesi a farla da padrone nella prima metà dell’800, avendo scalzato il monopolio fino a quel momento in mano a Broadwood.
Solo come indicazione suonavano un Erard Haydn, Beethoven, Debussy e Ravel, Moscheles suonava su Pape, mentre rimane storico l’indissolubile binomio Chopin- Pleyel. Liszt ha suonato di tutto: da Erard a Steinway, passando da Boisselot, da Bechstein e da Bosendorfer. Tuttavia, nei suoi scritti dichiara una predilezione, che durerà tutta la vita, per i pianoforti di Boisselot.
Da qui il mio interesse privilegiato verso i pianoforti francesi della metà dell’800.
Allo stato attuale sono restaurati e funzionanti 8 pianoforti:
- un Pleyel verticale bicorde numero 9222 del 1841
- un Erard verticale a corde oblique numero 16108 del 1844
- un Boisselot et Fils a coda 209 cm. corde dritte numero 2486 del 1845
- un Broadwood verticale numero 10860 del 1851
- un Pleyel a coda 220 cm. a corde dritte numero 23675 del 1856
- un pianoforte a tavolo J.&P. Schiedmayer numero 9720 del 1860
- un Erard London verticale a corde oblique numero 11488 del 1867
- un Pleyel a coda 190 cm. a corde incrociate
numero 101116 del 1894
- un Erard a coda 240 cm. a corde dritte numero 14231 del 1838
Tre di questi ( due Pleyel e un Erard) sono stati utilizzati dal Giancarlo Chiesa nel concerto, concepito come percorso storico in occasione del bicentenario della nascita di Chopin, che si è tenuto il 18 Dicembre 2010 nella Chiesa di Madonna di Campagna a Verbania .
Il Museo “Vivo”
L’idea è quella di raggruppare questa “collezione” in un luogo idoneo (allo stato attuale sono sparpagliati), facilmente fruibile, dove i musicisti li possano conoscere e adoperare, dove gli appassionati di musica possano ascoltarli, dove coloro che pur “non intendendosene” amano le cose belle e fatte con maestria possano quantomeno ammirarli.
Una collezione che è in continuo divenire, grazie al mio lavoro di restauro dei pezzi già acquisiti e grazie a nuove e continue acquisizioni.
Questi pianoforti, visti sotto una giusta ottica, aprono certamente squarci importanti su quel periodo di fervente evoluzione tecnica e stilistica che ci consegnerà, nell’ultimo decennio dell’800 il pianoforte come noi lo conosciamo oggi.
Tutto ciò richiede appunto un luogo idoneo: l’ideale sarebbe una disposizione su varie stanze (a tema) “confluenti” (adiacenti) in un locale sufficientemente ampio per poter ospitare dei concerti.
Annesso a questa disposizione sarebbe opportuno un locale dove poter “stoccare” (in sicurezza) le nuove acquisizioni necessitanti di “cure”, e un locale da adibire a “laboratorio aperto”dove si possa far capire ai visitatori cosa significa restaurare un pianoforte ottocentesco e dove poter apprezzare il “divenire” del restauro: sarebbe un’operazione didatticamente molto interessante, forse anche in grado di suscitare passioni “artigiane” nei più giovani.
Penso proprio che sarebbe un bel modo per avvicinare molti alla storia del pianoforte “fruibile”, in grado di suscitare passioni per la musica e per la “creatività” artigianale del restauro.